Candombe e milonga: le origini storiche del tango argentino

Lug 23, 2015 |

Se sull’origine geografica del tango esistono pochi dubbi, è meno chiara l’origine etimologica, su cui continuano a esistere diverse opinioni.

L’ipotesi più accreditata è che il nome condivida la radice del verbo latino tangere, ossia “toccare”, probabilmente traslata allo spagnolo tangir, con medesimo significato. Nella colonia spagnola, inoltre, la parola tangò era anche utilizzata dagli schiavi africani per indicare le percussioni, probabilmente ad indicare il modo con cui venivano suonate, ma alcune accezioni e connessioni con le lingue africane indicano anche il significato di “recinto”, o comunque di un luogo chiuso. Anche qui, quindi, troviamo una radice che richiama alla triste esperienza dello schiavismo coloniale.

 

tango

Il tango come genere musicale ha origini meticce e come la quasi totalità delle musiche dell’America Latina deve la sua origine ad un incrocio di civiltà musicali: quella dei coloni e quella degli schiavi africani, che ibridavano le forme classiche europee con le tipiche poliritmie di origine subsahariana. Il tango è tradizionalmente considerato come il prodotto della fusione dei patrimoni musicali italiani e spagnoli, ma sarebbe dunque sbagliato ignorare completamente l’apporto della musica africana. In particolare, questa influenza andrebbe ricercata, secondo gli esperti, nell’andamento melodico e nei movimenti del ballo, identificando anche un predecessore illustre: il candombe, di origine settecentesca.

Attorno all’estuario del Rio de la Plata, infatti, moltissimi schiavi furono condotti nei secoli del colonialismo per essere venduti nei territori circostanti, in particolare a Montevideo e Buenos Aires. Il numero maggiore arrivò intorno al 1750. Una grande parte di questi schiavi proveniva da ceppi etnici di origine Bantù e, come altrove accadde, trovarono nella musica una forma di espressione e affrancamento dalla propria miserabile condizione. Le autorità spagnole, all’inizio dell’Ottocento, proibirono ai neri di ritrovarsi a ballare e cantare quella musica che, dal loro punto di vista, era considerata disdicevole e immorali. Dietro questa repressione, ovviamente, si nascondeva la necessità di impedire le riunioni clandestine dei neri, che avrebbero rischiato di coalizzarsi contro l’oppressore. Codeste dinamiche, in fondo, appartengono anche a molti altri esempi nell’area latina e contribuiscono ad affermare fortemente l’identità africana del tango.

Al candombe seguì la milonga, che in origine accompagnava un tipo di canto chiamato payada (un’eredità del canto flamenco), che si strutturava in versi improvvisati e che poteva creare delle vere e proprie sfide fra diversi cantanti. Nell’arco dell’Ottocento, la milonga divenne un genere musicale praticato in ambienti molto umili.

Oggi si considera la milonga come un elemento cardine, senza il quale probabilmente non sarebbe avvenuto il passaggio al tango vero e proprio, che ancora oggi si suona e si balla in Argentina ed in Uruguay, e che ebbe origine attorno alla fine dell’Ottocento.

Sebbene quando si parla di tango si pensa immediatamente a Buenos Aires, è importante ricordare che la diffusione delle sottoculture che contribuirono a crearlo fu condivisa non solo dalla capitale argentina, ma anche da Montevideo. La gente uruguaya infatti è molto fiera di questa tradizione e non perde occasione di sottolineare come, anzi, le prime scuole di tango ebbero origine proprio presso la loro capitale. Come si può immaginare, entrambe le parti fanno a gara per aggiudicarsi una paternità, anche se in effetti si tratta di una gara senza senso. Ed è curioso vedere quanto oggi venga considerata importante un’eredità culturale che, in passato, ha costato sofferenze ed emarginazione ad una enorme parte della popolazione che stava contribuendo a costruirla.

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